L’utilizzo di smart card all’interno di pubblici esercizi

Negli ultimi giorni all’Associazione sono state rivolte numerose domande a proposito della possibilità di utilizzare tessere abilitate alla visione esclusivamente privata per la trasmissione e diffusione di programmi a pagamento all’interno di pubblici esercizi.
A tali domande rispondono l’Avvocato Francesco Innocenti e il Dottor Lorenzo Citracca dello Studio Legale Innocenti di Roma, anche alla luce della recente sentenza n. 7051/2012 emessa dalla III Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione in data 2 dicembre 2011 e depositata in data 23 febbraio 2012.
 
D:  E’ reato trasmettere o diffondere programmi a pagamento attraverso card per uso esclusivamente domestico all’interno di pubblici esercizi?
R:  Nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano la possibilità di trasmettere o diffondere programmi a pagamento attraverso card per uso esclusivamente domestico all’interno di pubblici esercizi è espressamente esclusa dalla Legge n. 633/1941 in tema di tutela del diritto d’autore.
In particolare, l’art. 171 ter co. 1 lett. e) della suddetta Legge, così come sostituito dalla Legge n. 648/2000, stabilisce che “è punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 15.493 chiunque a fini di lucro: in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato”.
Diversi sono, pertanto, gli elementi essenziali previsti dalla norma citata ai fini della configurazione del reato.
In primo luogo, sotto il profilo oggettivo, è necessario che la diffusione o la trasmissione abbiano ad oggetto un programma criptato, cioè un programma il cui accesso è consentito solo dietro il pagamento di un prezzo, come accade con le tessere Sky o Mediaset Premium ed inoltre che la diffusione e trasmissione avvengano per uso non personale, cioè in favore del pubblico, intendendosi con tale termine una cerchia indeterminata di soggetti.
In secondo luogo, sempre sotto il profilo oggettivo, la diffusione e trasmissione devono avvenire attraverso l’utilizzo di tessere rilasciate dal distributore (ad es. Sky, Mediaset) per uso esclusivamente privato, cioè per la visione del programma criptato all’interno dell’ambito strettamente domestico-familiare.
Ciò in quanto la diffusione in favore del pubblico (come avviene appunto all’interno di pubblici esercizi, quali pub, ristoranti ecc.) di programmi a pagamento è oggetto di speciali accordi tra i singoli esercizi e il distributore del servizio ed avviene attraverso il rilascio di speciali tessere, che consentono, appunto, la trasmissione di programmi criptati per fini commerciali.
In terzo luogo, questa volta sotto il profilo soggettivo, il reato previsto e punito dalla norma in esame è un reato c.d. a dolo specifico, consistente, nel caso di specie, nello scopo di lucro.
Ciò significa che, perché il reato si perfezioni, non è sufficiente che il soggetto che pone in essere la condotta incriminata abbia coscienza e volontà di utilizzare illecitamente uno strumento il cui utilizzo è limitato ad un ambito strettamente privato, ma è altresì necessario che la condotta sanzionata dalla norma in esame sia realizzata al fine precipuo di conseguire un vantaggio economico, consistente, ad esempio, nell’applicazione al pubblico di un sovrapprezzo sui beni venduti in ragione della possibilità di assistere ad un programma a pagamento, quale una partita di calcio.
D:  E’ vero che, come riportano alcuni organi di stampa, una recente sentenza della Cassazione ha escluso la punibilità del reato previsto dall’art. 171 ter co. 1 lette. e) della Legge n. 633/1941?
R:  La sentenza cui ci si riferisce è la n. 7051/2012 emessa dalla III Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione in data 2 dicembre 2011 e depositata in data 23 febbraio 2012.
Nello specifico detta sentenza aveva ad oggetto il caso del gestore di un pub il quale, senza alcun accordo con il legittimo distributore, aveva ritrasmesso al pubblico l’incontro di calcio Inter-Juventus, visibile a pagamento, ricevuto per mezzo di una tessera abilitata alla visione del programma in ambito strettamente domestico.
Con tale decisione la Corte Suprema di Cassazione non è tuttavia pervenuta ad escludere la punibilità del reato di cui dall’art. 171 ter co. 1 lett. e) della Legge n. 633/1941.
Dalla lettura dei motivi si evince infatti chiaramente che l’annullamento della sentenza della Corte di Appello, che aveva condannato l’imputato, e dunque la scelta nel senso dell’assoluzione di quest’ultimo è stata giustificata dalla circostanza che, nel caso di specie, non erano ravvisabili i presupposti richiesti dalla norma incriminatrice ai fini della configurazione del reato.
A mancare, nel caso oggetto della sentenza in commento, era in particolare il fine di lucro, da intendersi quale elemento psicologico necessario perché la condotta descritta dalla norma incrimintrice assuma rilevanza penale.
Nella motivazione della decisione si legge infatti che “nella specie la diffusione in un pub di un evento sportivo trasmesso dalla rete televisiva con accesso condizionato non risultava essere funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone attratte dalla possibilità di seguire l’evento sportivo gratuitamente. Ciò perché…non era stata pubblicizzata la diffusione nel pub dell’evento calcistico; al momento dell’accertamento della condotta contestata all’imputato erano presenti nel pub pochissimi avventori; a questi ultimi nessun sovrapprezzo era stato richiesto in ragione della possibilità di seguire l’evento calcistico trasmesso dall’emittente televisiva. In sostanza nessun elemento emergeva in ordine al fine di lucro la cui mancanza escludeva la rilevanza penale della condotta”.
Peraltro, per costante giurisprudenza (vedi Cass. Sez. III n. 13812/2008; Cass. Sez. III n. 20142/2010; Cass. Sez. III n. 45567/2010), la Suprema Corte di Cassazione riconduce nell’alveo della norma di cui all’art. 171 ter co. 1 lett. e) della Legge n. 633/1941 e dunque attribuisce rilevanza penale alla condotta di chi, per fini di lucro, utilizzando una smart card legittimamente detenuta in base al contratto ed idonea a consentire la ricezione di programmi televisivi a pagamento per uso esclusivamente privato, diffonda in pubblico i programmi stessi in assenza di accordo con il distributore.
 
D:  Trattasi, dunque, di attività a rischio di illeciti?
R:  La diffusione o trasmissione all’interno di un pubblico esercizio di un programma a pagamento attraverso una tessera adibita ad uso esclusivamente domestico è un’attività assolutamente da evitare, in quanto:
1.integra certamente un illecito di tipo civilistico, consistente nella violazione delle clausole del contratto sottoscritto con il distributore del servizio che limitano l’utilizzo della tessera all’ambito esclusivamente domestico;
2.si tratta di attività che espone colui che la pone in essere al rischio di incorrere in un procedimento penale e, in caso di condanna, di vedersi irrogate pene piuttosto severe: reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 2.582 a euro 15.493.

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