Il Tribunale di Reggio Emilia, ufficio del GIP, con sentenza 27 gennaio 2021 n. 54, ha stabilito che è esclusa la configurabilità del delitto di cui all’art. 483 c.p. nel caso di false dichiarazioni sulla sussistenza di una delle condizioni che possono giustificare gli spostamenti in caso di restrizioni per ragioni di prevenzione epidemiologica, ai sensi del DPCM 8/3/2020, che il giudice ha disapplicato ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E in quanto costituzionalmente illegittimo.
Nel caso di specie il GIP ha rigettato la richiesta del PM di emettere un decreto penale nei confronti di due indagati del delitto di cui all’art. 483 c.p., per avere entrambi compilato un’autocertificazione dichiarando falsamente di trovarsi fuori dalla loro abitazione – in contrasto con l’obbligo imposto dal DCPM 08.03.2020 – per sottoporsi ad esami clinici l’una e per accompagnare il coniuge l’altro.
Il GIP ha ritenuto l’illegittimità del DPCM del 8/3/2020 (e di quelli seguiti al primo) evocato nell’autocertificazione sottoscritta da ciascun imputato nella parte in cui prevede che per il contrasto alla diffusione del virus COVID SARS 19 le misure di cui all’art. 1 del DPCM 08/03/2020 sono estese all’intero territorio nazionale, imponendo di evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori indicati, salvi gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute.
Il Giudice ha individuato il vulnus della citata fonte regolamentare (il DPCM) nella parte in cui stabilisce un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, di fatto configurando un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare.
Invero, la legge prevede tassativamente i casi e le procedure che possono giustificare un provvedimento particolare di permanenza domiciliare, in via cautelare o all’esito di una sentenza e in ogni caso con la garanzia del diritto di difesa.
Infatti, l’art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su con atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
E il DPCM non è una legge, bensì fonte regolamentare di secondo grado: in sintesi un atto amministrativo senza forza di legge perciò insuscettibile di essere sottoposto a controllo successivo di legittimità costituzionale.
Ma, in ogni caso, non è la legge ad applicare nel caso concreto la limitazione della libertà personale, bensì il giudice nei casi tassativamente previsti dalla legge.
Infine, il GIP nel provvedimento in commento ha correttamente evidenziato che il DPCM è atto amministrativo, derivandone che in caso di illegittimità deve essere direttamente disapplicato dal giudice a quo ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E e non deve invece essere sollevata questione di legittimità costituzionale, pur in presenza di violazione dell’art. 13 Cost.
In sintesi, del ragionamento suddetto il GIP ha ritenuto non antigiuridica la condotta di compilare una falsa autocertificazione poiché illegittimamente imposta ai cittadini, i quali nel caso di specie hanno dichiarato ‘inutilmente’ il falso: inutilmente poiché finalizzato a superare un obbligo di permanenza domiciliare illegittimamente imposto.