La sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 21 novembre 2019, n. 47283 ha stabilito che i messaggi minatori ed intimidatori inviati alla vittima tramite Whatsapp sono prove documentali che possono essere liberamente utilizzate dal giudice.
Infatti i messaggi Whatsapp e gli SMS conservati nella memoria di un telefono cellulare sottoposto a sequestro hanno natura di documenti ai sensi dell’art 234 c.p.p.;
l’acquisizione degli stessi non è sottoposta alla disciplina delle intercettazioni telefoniche e nemmeno a sequestro di corrispondenza (Cass. pen., Sez. V, 21 novembre 2017, n. 1822).
Ha natura di documento pure il testo di un messaggio sms fotografato dalla polizia giudiziaria sul display dell’apparecchio cellulare su cui esso è pervenuto (Cass. pen., Sez. I, 20 febbraio 2019, n. 21731).
Il documento così legittimamente acquisito in copia è perciò soggetto alla libera valutazione del giudice, assumendo valore probatorio, pur se privo di certificazione ufficiale di conformità e pur se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto.